Peccato abbia rinunciato. Perché a danneggiare il papa nessuno é efficace quanto il papa. Anche per questa estrema ragione sarebbe stato sacrosanto (e opportuno) che papa Benedetto XVI avesse parlato liberamente dal pulpito in mogano dell’Università La Sapienza, in Roma, addì giovedì 17 gennaio 2008, Ventunesimo secolo. Che lo avesse fatto (persino) voltando le spalle all’uditorio e magari in latino, vestito d’oro, con piccole scarpe Prada e anelli, la stola d’ermellino, l’incenso e una nuvola di esangue nobiltà romana. Perche’ tutto serve a descrivere il suo magistero. E a tramandarne il contenuto: i gesti, le scelte, ma specialmente la parola.
La libertà d’espressione non è un bene divisibile secondo trattativa. E neppure lo si può piegare alla minaccia, come pretendono gli sciocchi che hanno contestato la sua visita. Deve valere per tutti. Compresi coloro i quali, come Ratzinger, dividono il destino degli uomini tra i sommersi e i salvati. Promettono vita eterna ai soli battezzati, destinando agli altri le tenebre del nulla; hanno sguardo carico di disamore; non dedicano un solo silenzio a rammentare i secoli di sangue generato. Che Ratzinger racconti pure la sua storia con seguito di servitori, inchini e sfarzo di parole. Galileo, se fosse vivo, lo avrebbe ascoltato in ultima fila, puntando volentieri il cannocchiale su quel palco per studiarne le luci, l’ombra, il mistero.