L'art. 68 della Costituzione, dopo la legge cost. n. 3 del 1993 recita:
" I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.
Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza.
Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza".
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Il testo precedente dell'art. 68 era il seguente:«I membri del Parlamento non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.
Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale (c.d. "autorizzazione a procedere" ndr); né può essere arrestato, o altrimenti privato della libertà personale, o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, salvo che sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o l'ordine di cattura.
Eguale autorizzazione è richiesta per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del Parlamento in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile».
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Per molto tempo i parametri per l'autorizzazione del Parlamento, in particolare quello del c.d."fumus persecutionis", sono stati individuati dall'interpretazione di dottrina e giurisprudenza. Poi, la legge n. 140/2003 "disposizioni di attuazione dell'art. 68, nonchè in materia di processi penali delle alte cariche dello stato" è intervenuta sull'attuazione della norma costituzionale, specificando anche le modalità della richiesta di autorizzazione, senza però precisare ulteriormente i requisiti per la sua concessione. Si trattava del c.d. lodo Maccanico-Schifani, dichiarato parzialmente illegittimo, dunque in parte abrogato, dalla Corte costituzionale (articoli 1 sull'immunità delle alte cariche e 6 sulle intercettazioni). In una di queste pronunce la giurisprudenza ha toccato incidentalmente il profilo della rilevanza processuale come parametro di concessione dell'autorizzazione "alle intercettazioni". La Corte si è però solo limitata a dare atto della prassi parlamentare che lo aveva introdotto, segnalando la modifica alla ratio originale dell'art. 68 che tale prassi comporta.
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